Parrocchia
S. Giovanni Bosco - Vasto
SCUOLA
DELLA PAROLA 2018-19
SESTO INCONTRO - 09.01.2019
VIVERE
L'INCONTRO CON GESU'
"CHI
E' DUNQUE COSTUI?"
La Parola di
Dio
Dal
Vangelo secondo Marco (4,35-41)
35In quel medesimo giorno, venuta la sera,
disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36E, congedata la folla, lo
presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37Ci
fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto
che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e
dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo
perduti?». 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci,
calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro:
«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da
grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il
vento e il mare gli obbediscono?».
Commento
teologico-esegetico
Uno sguardo
di insieme ci presenta il seguente scenario:
– Il racconto di miracolo che ci
interessa, ha un legame immediato e intenzionale con il discorso delle
parabole che precede (Mc 4,1-34). Con le parabole, Gesù annuncia il
Regno di Dio come evento di salvezza ormai prossimo. La predicazione avviene su
una barca, tanto grande era la folla, «e
là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva»
(Mc 4,1).
– Ebbene «in quel medesimo giorno» (4,35), entro una «barca», sul «mare»,
avviene il miracolo. Esso sarà perciò da comprendere come segno del Regno di
Dio, una manifestazione potente del suo «valore positivo», e dunque della
sua presenza che ha fatto veramente irruzione tra di noi.
– Il protagonista indiscusso di quanto
avviene, sia nella predicazione che nel miracolo, è Gesù di Nazaret, su
di lui rifluisce lo stupore sul suo valore e la domanda sulla sua identità (Mc 4,10;
5,41).
La dinamica
della vicenda può essere rappresentata attorno a quattro fasi:
– I preparativi: lungo il
giorno vi è stata la predicazione alle folle del Regno di Dio, alla sera
avviene il trasferimento all’altra riva su comando di Gesù. Si tratta del lago
di Genezaret, con una traversata da ovest ad est, per diversi chilometri. È di
sera, quando i venti possono scatenarsi a seguito dell’escursione termica,
soprattutto le tenebre incipienti acuiscono il senso del disagio e della paura.
Lui solo con i discepoli. La folla non c’è più. Il lettore si trova lui stesso
testimone coinvolto in una vicenda forte e decisiva.
– La grande tempesta: scoppia
immediatamente (nel testo parallelo di Matteo si parla di un "grande
terremoto", espressione che l'evangelista usa solo due volte e che ripropone
solo nel momento della risurrezione di Gesù). È il fattore scatenante il dramma
e insieme provoca la «rivelazione» dei personaggi. L’accento sulla pericolosità
(«gran tempesta di vento», «le onde nella barca, tanto che ormai era
piena») in consonanza per altro con la realtà di quel lago si scontra
chiaramente con l’altro elemento su cui Marco pone l'accento, cioè la pace
veramente olimpica di Gesù («Egli se ne
stava a poppa, sul cuscino, e dormiva»). Un sonno che poteva essere la
conseguenza della fatica del giorno, ma l’insieme del racconto pone al suo
centro l'evidente contrasto: pur nella medesima situazione di pericolo, i
discepoli sono estremamente agitati, Cristo rimane calmo e sereno.
– Il dialogo drammatico e
l’intervento risolutore: avviene a proposito della situazione estrema in
cui sono venuti a trovarsi, una situazione mortale. I punti di vista dei
discepoli e di Gesù sono tra loro agli antipodi, come tra impotenza totale («moriamo») e sicurezza assoluta («Taci, calmati»): «E vi fu una grande bonaccia». Gesù è il Potente in cui occorre
avere fiducia.
– Una conclusione aperta: la
tempesta sul mare è stata bloccata. Ma si è scatenata una tempesta nel cuore: «Chi è costui al quale anche il vento e il
mare obbediscono?». Pur sul binario della giusta soluzione (si noterà che
la paura è sostituita dal «timore», tipico atteggiamento davanti alle grandi
opere di Dio), la conclusione sulla identità di Gesù rimane aperta per una
risposta che non proviene dal miracolo in se stesso, ma da un supplemento di
verità che sarà da ricercare ulteriormente. Per cui la vicenda spinge in avanti
la ricerca, all’appuntamento con la croce di Cristo (cf Mc 15,39).
Approfondiamo l'atteggiamento dei
personaggi. Sono essenzialmente due: Gesù e i discepoli; e sullo sfondo la
folla.
– La folla materialmente è
«lasciata» (4,36), si trova lontana, ma interiormente è presente: è pur sempre
la stessa «barca» della predicazione del Regno alla gente (4,1) il luogo ove si
compie un segno potente del Regno (4,36). È alle folle come pecore perdute che
Gesù invia i discepoli a predicare che il regno dei cieli è vicino e a guarire,
risuscitare, sanare, cacciare demoni (Mt 10, 6-8). I discepoli sono «pescatori di uomini» (Mc 1,17),
perciò la loro esperienza di salvezza miracolosa si prolungherà nel ministero
verso la gente (cf Mc 6, 12-13.32-34).
– I discepoli vivono un'esperienza
traumatica, profonda, solcata da domande:
* in una prima parte vivono una piena
comunione: sono in barca con Cristo, che riconoscono Maestro, obbediscono al
suo comando di attraversare il lago, ne rispettano il sonno profondo;
* sorta la tempesta le cose cambiano:
lo svegliano concitati, hanno paura, sottopongono il Maestro ad una
insinuazione offensiva: «Tu dormi e noi
moriamo?», non sei proprio all’altezza della situazione;
* l’intervento di Gesù li rimprovera
seriamente togliendo le stesse ragioni di avere paura e mostrando la causa del
loro malessere: non hanno fede in Lui;
* una spaccatura, come una grossa
ferita si apre in loro, scuotendo la loro diffidenza, cambiando la domanda: non
più quella amara e conclusiva di partenza («Non
ti importa che moriamo?»), ma quella prospettica e aperta di conclusione: «Chi è dunque costui?».
– Gesù si comporta come
protagonista assoluto, sovrano e sereno, intorno a cui tutto gira, proprio come
si comporta Dio nell’AT:
* egli predica alla folla tutto il
giorno. Egli comanda di attraversare il lago, di dislocarsi altrove. Egli dorme
tranquillo a poppa sul cuscino;
* egli non disattende il grido di
aiuto dei discepoli, e interviene con potere assoluto, facendo cessare il
pericolo, la violenza degli elementi cosmici del vento e del mare. Il ricordo
va immediatamente al Dio della creazione e dell’esodo (Es 14; Sal
107,28s). La straordinaria ricchezza di queste immagini bibliche è come
condensata nel gesto e nella parole di Gesù; proprio in quel Gesù, che Marco ci
presenta anche molto umano, stanco, affaticato e per questo addormentato, si
rivela la potenza di Dio. Gesù assume così i tratti del Kyrios, il Signore della creazione e dell’esodo. Vediamo che Gesù,
svegliato e quasi rimproverato dai discepoli terrorizzati, «si destò». Questo movimento segna il passaggio dal sonno
all’atteggiamento di colui che veglia ed è ben presente a se stesso e agli
eventi che lo circondano; ma indica anche il passaggio da una situazione oscura
e pericolosa segnata dalla morte incombente, alla vita. Ma significativa è
anche la parola che Gesù pronuncia sul mare sconvolto dalla tempesta: «minacciò il vento e disse al mare: “Taci, calmati!”». Gesù ha l’ultima
parola sul creato, sulla storia, su tutte le forze che la compongono e che la
minacciano, perché tutto il creato e ogni evento dipendono da quella parola, in
quanto solo essa ha la forza di creare e di rivelare il logos di tutto. Ecco perché a quella Parola «anche il vento e il mari gli obbediscono». Gesù risolve così il
dubbio-paura che oggettivamente attanaglia i discepoli. La potenza del Regno
superiore ad ogni minaccia vale anzitutto per loro che il Regno dovranno
annunciare;
* ma Gesù interviene anche a livello
soggettivo, donando loro la chiave per non aver mai paura in alcuna
situazione per quanto difficile: la fede in Lui. Si appella alla loro coscienza,
con una domanda: «Non avete ancora fede?»,
dove quell’«ancora», è come se dicesse: Sono con voi da tanto tempo, avete
ascoltato i miei insegnamenti, avete visto tanti segni, eppure non riuscite
ancora a darmi fiducia! (cf Gv 14,9). Tutto questo dovrebbe farli
inquietare. Occorre ripensare di nuovo la relazione che i discepoli hanno con
lui. Cosa che effettivamente inizia a compiersi, come testimoniano le ultime
parole pronunciate dai discepoli: «Chi è
mai costui?».
– Facciamo ora sintesi, evidenziando
la relazione dialettica che si stabilisce fra Gesù e i discepoli,
relazione che vivacizza tutto il racconto e bene esprime il percorso esigente
della fede. Nella situazione estrema in cui si trovano Gesù e i discepoli,
dunque a proposito di vita o non vita, due rimproveri si incrociano.
Quello dei discepoli verso Gesù, che nasce dalla paura e li porta a dubitare
che Gesù sia capace di risolvere il problema. Il rimprovero di Cristo verso i
discepoli, che nasce dal suo agire concreto e vittorioso, e li porta a varcare
la soglia del dubbio per aprirsi alla fiducia della fede.
Approfondiamo,
ora, il messaggio del nostro brano. È grande e per questo ricco di
implicanze: riguarda sostanzialmente cosa significa avere fede in
Gesù. Non si parla però di fede speculativa, ma fede vissuta attraverso una
prova concreta, la traversata rischiosa del lago voluta dal Maestro.
Dall’esperienza si evidenziano tre nodi importanti: che cosa motiva la fede,
che cosa la nega, che cosa la produce.
Il miracolo che viene raccontato non è fine a se stesso (la
dimostrazione di potenza da parte di Gesù!), ma è tutto finalizzato alla fede
in Gesù, a stimolarla, mostrando alla fine che la fede è degna di miracolo e
insieme è capace di produrlo. Ma a sua volta questo nesso tra fede e miracolo è
posto da Gesù nel quadro del grande evento del Regno di Dio, cioè del progetto
salvifico di Dio che libera dal male (il mare come tale, tanto più se
tempestoso, nel mondo biblico ne è simbolo impressionante, eppure Dio lo domina
pienamente: si ricordi il passaggio del Mar Rosso in Es 14, del Giordano
in Gios 3-4; Giona 1; Sal 74,13; 107,28). Gesù è dunque
al centro del racconto, descritto come uno che ha l’autorità attribuita a
Dio nell’AT su tutto ciò che è malefico per l’uomo: è questo che va ricavato
come intenzione primaria del brano. E' il mistero di Gesù a motivare la fede in lui
e diventa ragione intima per cercarne l’identità. «Chi è mai costui?» si chiedono giustamente i discepoli.
– La fede in Gesù non è un fatto scontato,
non è automatico, non è lineare. E' una conquista. Si tratta di stabilire una
corretta relazione dei discepoli con lui attraverso l'accettazione della
relazione che egli intende avere con noi. Ebbene ciò si presenta come un
robusto processo di riconoscimento in tre tappe: riconoscimento della
relazione che i discepoli hanno con Gesù, quella che dovrebbero avere, la via
per arrivarci:
* la relazione che di fatto hanno
con Gesù: sono «nella stessa barca»,
sono suoi discepoli come esprime il titolo di «Maestro» che gli rivolgono,
vivono cioè una comunione di vita e di destino. Ma ecco sopravvenire la crisi:
una situazione umanamente incontrollabile genera la loro protesta verso Gesù:
«Non si interessa di noi», mostrando di avere una fede misurata con il proprio
metro puramente umano, così miope e chiuso, da giungere all’incredibile
goffaggine di ritenere che Gesù li lasci e si lasci andare a fondo;
* la relazione che dovrebbero avere:
è evidenziato dall’intervento di Gesù: per quanto sia grande la difficoltà,
finché lui è nella stessa barca, e di fatto lo è, non bisogna avere paura.
Avere fede in Gesù si riconosce dal tasso di "assenza di paura", di
superamento dell’angoscia, di fiducia e serenità che egli genera in noi;
* il percorso
per arrivarci: è quello stesso dei discepoli. Lo smarrimento dei
Dodici su cui incombe l’esperienza della morte e che significativamente passa
dalla paura al timore. Se tutta la scena con il suo straordinario dinamismo ha la
forza di rivelare l’identità di Gesù, essa permette anche di sottolineare l’atteggiamento
del discepolo di fronte a questo volto che si rivela. Diventa allora
fondamentale l’interrogativo con cui si chiude l’episodio: «Chi è dunque questo?». A un certo punto Gesù domanderà ai
discepoli: «Ma voi, chi dite che io sia?»
(Mc 8,29; la domanda che è posta da Marco al centro del cammino del discepolo).
L’interrogativo pieno di stupore e di timore con cui si conclude la narrazione
della “tempesta sedata” è come un avvio a questa consapevolezza che il
discepolo deve maturare a riguardo della identità di Gesù. Ed è una
consapevolezza che mette in gioco la fede. Ecco allora un altro interrogativo
che Gesù stesso pone e a cui il discepolo deve dare una risposta proprio a
partire da ciò che ha vissuto: «Perché
avete paura? Non avete ancora fede?». Nei discepoli c’è fede, perché
prendono con loro Gesù «così com’era,
sulla barca». C’è fede perché nel pericolo si accostano a Gesù e lo
supplicano: «Maestro ...». Ma manca
in loro ancora fede, c’è un cammino ancora da compiere, devono ancora
comprendere molto di Gesù. E soprattutto il salto di qualità da compiere,
proprio a partire dall'esperienza vissuta, è quello che permette di passare
dalla paura ad un abbandono totale nelle mani di Gesù, quel Gesù che li ha «scelti perché stessero con lui» (Mc 3,14), quel Gesù che, pur
addormentato e apparentemente assente, conosce il cammino da seguire. La fede
dei discepoli deve compiere un salto; deve, simbolicamente, passare all’altra riva. E proprio
l’atteggiamento che suscita la domanda finale, segna l’inizio di questo
passaggio. Alla fine il discepolo non ha più paura, ma ha timore, è il
timore di fronte alla grandezza e alla potenza di un Dio che può veramente
calmare il mare agitato delle vicende umane, un Dio che si prende cura della
fragilità e della paure dell’uomo per educarlo alla fede in Lui. Forse il
discepolo ha sempre bisogno di sentirsi rivolgere questa domanda da Gesù: Non avete ancora fede? Solo così il
discepolo può camminare dietro a Gesù e comprendere che la sua fede in lui deve
incessantemente compiere altri passi, passare attraverso mari in tempesta,
sperimentare pace e calma ed essere sempre accompagnata dall’interrogativo: Chi è dunque questo, che anche il vento e il
mare gli obbediscono? Meditando sugli atti di liberazione di Gesù, bisogna
lasciarsi colpire dallo stupore-timore; questo genera e sostiene la domanda su
chi è veramente questo Gesù dominatore di elementi così incontenibili; si
arriverà così ad una risposta piena, che ora il Vangelo non manifesta,
rimandandola all’evento della Croce, come traspare dalle parole del centurione
che «vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente
quest’uomo era Figlio di Dio» (Mc 15,39).
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