Parrocchia
S. Giovanni Bosco - Vasto
SCUOLA
DELLA PAROLA 2018-19
VIVERE
L'INCONTRO CON GESU'
"OGGI,
CON ME, SARAI NEL PARADISO"
La Parola di Dio
Dal
Vangelo secondo Luca (23,39-43)
"Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non
sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava
dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?
Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre
azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di
me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con
me sarai nel paradiso»".
Commento biblico-teologico
Leggere questa pagina del vangelo di Luca ci chiede
anzitutto un gesto di coraggio: riconoscere che queste parole possono essere
comprese soltanto da chi sa di avere peccato. Queste poche righe che abbiamo
letto sono assolutamente scandalose, perché ribaltano qualunque nostro criterio
di giustizia retributiva. Ci viene da gridare allo scandalo, da dire che non è
giusto. Perché deve essere premiato un uomo che per tutta la vita non ha fatto
niente di buono? Solo chi sa di avere peccato, e peccato molto, può accostarsi
con fiducia a questa pagina di vangelo, ma meglio sarebbe dire a tutto il
vangelo. In una logica diversa da questa, nella logica dei giusti che non hanno
nulla da farsi perdonare, tutto il vangelo è sbagliato, è fuori luogo, è fuori
posto. Solo se sentiamo in qualche modo il desiderio e la necessità di
lasciarci perdonare da Dio, di lasciarci riconciliare con lui, allora questa
pagina aprirà per noi i suoi tesori, ci potrà commuovere, trasformare,
consolare. Se dentro di noi rimane l’orgoglio di chi si pensa a posto, o magari
addirittura in credito con Dio, queste parole suoneranno di offesa e di
scandalo.
Nel momento decisivo della vita di Gesù si ritrova tra
due criminali, “è stato annoverato fra
gli empi” (Is 53,12; Lc 22,37). A fargli compagnia sono rimasti solo due
ladri: nessuno più di loro è vicino al Signore. Dobbiamo imparare da loro, e
provare a guardarli più da vicino. L’immagine dei due ladroni è ormai parte
integrante dell’icona cristiana del Crocifisso. Tutti e quattro gli evangelisti
ne ricordano la presenza, e la tradizione ha sempre dato un grande rilievo a
questo fatto, giungendo perfino ad attribuire un nome a ciascuno dei
malfattori. Urtante e spigoloso come
suo solito Marco, il più antico vangelo, proponendosi in termini di verosimile
resoconto, ci riferisce appunto che i due ladroni, concrocifissi con lui, non
si distinguono affatto fra loro, perchè entrambi insultano Gesù, unendosi così
al coro sarcastico e blasfemo di passanti, sacerdoti e scribi, che monta dai
piedi della croce (Mc 14,24-32). Soltanto Luca, però, parla di un
ladrone pentito, o di un buon ladrone, come viene normalmente chiamato nella
tradizione cristiana. Anche se buono, a rigor di termine non lo era affatto.
Lui stesso dice di sé che sta ricevendo “il giusto per le sue azioni”.
Facciamo una
interessante osservazione. Sappiamo che Luca spesso mette vicino due personaggi
che presentano due poli opposti (cf. Zaccaria e Maria; Marta e Maria, i due
fratelli del padre misericordioso, ecc.). E' il metodo letterario dello “sdoppiamento”,
che ha lo scopo di mostrare due atteggiamenti contrastanti che una stessa
persona può assumere. Detto in altri termini, e riferito in particolare al
brano dei due ladroni, è come se questo dialogo avvenisse all’interno del
nostro cuore, e non tra due persone distinte. Da che parte sto, a chi e a cosa
do' voce di fronte al Cristo crocifisso? Il primo ladrone rappresenta il nostro
lato oscuro, quello che cade nella disperazione, che non pensa di ottenere
salvezza, e cede al cinismo, alla recriminazione, alla bestemmia: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non
sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!»". E' l'ultima tentazione rivolta a Gesù. Al
contrario, il secondo ladrone, che pure è un malfattore come l’altro, lascia
spazio al timore di Dio, al riconoscimento del proprio male, all’ammissione del
proprio peccato. E crea il presupposto per sentirsi accolto dalla compassione
di Gesù, che per tutta la vita ha perdonato i peccatori. Concentriamoci allora
su di lui, sul ladrone pentito. Nelle sue parole c’è già il principio della
sapienza; nella sua richiesta a Gesù si apre la strada per la compassione.
Pertanto, i due ladroni possono essere ripensati come un’unica figura complessa che consente di costruire un cammino di fede
completo, attraverso due diverse reazioni all’incontro con il Cristo
crocifisso: prima imprecando nella ribellione, ma infine invocandolo nella
conversione. Al lettore viene così offerta la possibilità di un
realistico cammino di fede che conduce fino alla sorprendente risposta di Gesù,
che dona subito la salvezza. Mettiamoci, dunque, alla scuola del ladrone penitente, alla scuola cioè di un personaggio di prima grandezza e figura
chiave del terzo vangelo. Forse la figura più singolare di tutta l’opera lucana,
a cui è bastata una sola parola per ottenere la salvezza.
"L'altro invece lo
rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla
stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per
le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male»".
Il "buon" ladrone non conosceva Gesù prima
della crocifissione. Lo ha incontrato in quella drammatica situazione.
Tuttavia, egli, davanti al modo in cui Gesù affronta la croce, assume un
atteggiamento opposto all'altro compare, la cui richiesta appare come una provocazione sarcastica e blasfema
(v. 39). Ai suoi occhi la singolarità messianica di Gesù rispetto alla comune
sorte dei malfattori è solo illusoria e simulata. Su di lui il ladrone la pensa proprio come i loro carnefici. Il
mistero della regalità del crocifisso, la signoria del dolore innocente, il
giusto sofferente, il Messia rifiutato dal proprio popolo, che tuttavia
intercede e invoca perdono proprio per i suoi, rivelatisi nemici, per lui è una
totale assurdità, sterile per sé e per gli altri come lui. Non a caso, in
Isaia, il Servo del Signore fa
distogliere lo sguardo, suscita repulsione, ovvero una incapacità di
lasciarsi interrogare: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i
nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto
dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al
quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima
(Is 53,2-3). Arriva però un momento in
cui lo sguardo al crocifisso si può aprire alla fede, proprio come accade
ai contemporanei del Servo del Signore, che prima lo disprezzano, ma poi si
ricredono completamente su di lui, trasformando
il loro occhio disgustato in uno sguardo di fede: "Eppure egli
si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo
giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto per i
nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da
salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti
(Is 53,4-5).
Questa trasformazione di sguardo, finalmente capace di percepire la
singolare differenza del messia sofferente, è la stessa grazia di cui gode il "buon"
ladrone rispetto al suo compare.
Riconoscendo l’innocenza di Gesù, che
«non ha fatto nulla di male», il buon ladrone dimostra di possedere il
senso del timor di Dio, che altro non è
che il rispetto delle autentiche differenze, in primo luogo tra uomo e Dio, ma
includendo anche il rispetto per il prossimo. L’innocenza di quel
giusto, pretendente messianico e comunque ingiustamente sofferente, rientra
nella stessa regalità di Gesù, la cui
potenza va oltre la morte, perché capace di invocare perdono per i carnefici.
Gesù dispone di un regno, cioè di una
signoria e libertà che, nel segno del servizio (Lc 22,24-27), cominciano a
manifestarsi appieno dallo stesso patibolo, da Gesù trasformato in trono di
filiale misericordia: «Padre, perdona loro perché non sanno quello
che fanno!» (Lc 23,34).
"E disse: «Gesù,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»".
Il ladrone si rivolge a Gesù chiamandolo per nome. Non
usa nessun altro “titolo” per ottenere la sua misericordia. Gesù e basta: non
Signore, o Maestro, o Salvatore. Lo chiama con il nome più familiare, ed è
l’unico in tutto il vangelo di Luca a rivolgersi a Gesù chiamandolo solo col
suo nome, senza aggiungere altra denominazione. Nel momento della verità, il
ladrone trova l’invocazione del nome dell’affetto, dell’amicizia, del nome che
rompe le distanze, che si può pronunciare con un filo di voce. Sappiamo che il
nome Gesù significa “Dio salva”, e sappiamo che nel nome sta il destino, la
vita di una persona. Davanti a Gesù, pronunciandone il nome, il ladro si
ricorda che Dio salva, salva tutti, non solo i buoni o i giusti che non ne
hanno bisogno, ma i poveri, i perduti, gli smarriti, la gente a cui non è
rimasto in mano nulla se non qualche briciola di speranza. La salvezza inizia
dall’invocazione fiduciosa e ripetuta del nome di Gesù.
"Ricordati di me". Il ricordo di Dio è
fondamentale. Se da un lato si chiede di non essere dimenticati da Dio, di non
essere lasciato soli, dall’altra lato il ricordo chiede con forza al Signore di
essere fedele a se stesso, di non dimenticare la sua promessa di perdono. Il
ladrone sa che non può vantare alcun merito davanti a Gesù. Il malfattore è
semplicemente sulla croce, povero e nudo come Gesù, morente come lui,
condannato alla stessa pena. E questo può bastare. “Ricordati di me” significa
dire “ricordati di chi sono, dei miei peccati, del fallimento che è stata la
mia vita, degli errori che l’hanno fatta finire male, delle occasioni di bene
che ho perduto, della mia fragilità. Tu mi conosci, sai chi sono; proprio per
questo ti chiedo di ricordarti di me; e il mio essere così disarmato e così
perduto è motivo sufficiente ai tuoi occhi per volermi bene, per darmi come
regalo ciò che non mi merito”. Gli resta soltanto un’ultima speranza: che quel
condannato come lui, ma così diverso da tutti gli altri, che lui sente di poter
chiamare amichevolmente Gesù, si possa ricordare di lui quando entrerà nel suo
regno. Sa che il Signore non potrà resistere a una parola così, come non aveva
saputo resistere davanti alle folle affamate, al lebbroso urlante, al pianto
delle sorelle di Lazzaro, all’insensata richiesta di Pietro sul mare di Galilea.
Ci sono parole di fronte a cui Gesù cede di schianto: sono le parole che vanno
dirette al cuore della sua ingovernabile compassione.
"Gli rispose: «In
verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»".
Le parole del buon ladrone hanno colto nel segno, hanno
potentemente smosso il terreno della compassione di Cristo. Ma ci sono anche le
sue parole, Salvatore morente. Anche queste, soprattutto queste, tra le ultime
che il Signore pronuncia, rivelano il suo cuore e i suoi desideri. “Amen, in verità”. Sappiamo che questa è una
forma stereotipa per dare rilievo a ciò che si sta per dire: quasi un
giuramento per rafforzare la parola e darle ulteriore spessore. Ma pronunciata
dalla croce, questa parola assume un significato ancora più potente. La verità,
la parola certa, l’amen che Gesù
pronuncia e che ha pronunciato per tutta la vita è l’amen che dischiude il paradiso, la vita eterna, la condivisione
della realtà di Dio. La verità della sua vita è questa: è la compassione, è il
dono gratuito del regno a chi non ha fatto nulla per meritarselo, è la parola
scandalosa della croce che dice che Gesù muore per i peccatori.
“Oggi”.
Questa parola tiene insieme le tappe più importanti della vita di Gesù, e dice
che il tempo della sua azione di salvezza è “oggi”. E’ commovente notare che
poche ora prima Gesù aveva rivolto questa stessa parola a un altro peccatore,
all’apostolo Pietro: “non canterà oggi il
gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi” (Lc 22,34).
Per Pietro l’inizio della salvezza e del discepolato ha coinciso con lo
sperimentare il proprio fallimento; possiamo dire la stessa cosa per il
ladrone. E se procediamo a ritroso nella lettura del vangelo di Luca, troviamo
l’episodio della conversione di Zaccheo, dove sono due gli ‘oggi’ pronunciati da
Gesù: “oggi devo fermarmi a casa tua”
(Lc 19,5) e “oggi la salvezza è entrata
in questa casa” (Lc 19,9). Anche per Zaccheo l’oggi dell’incontro con la
compassione del Signore rappresenta l’estrema possibilità di salvezza e
l’inizio di una vita nuova. Oggi il buon ladrone si conosce per quello che è:
un uomo che ha buttato via la vita, un uomo che si lascia alle spalle una
storia che sarebbe meglio dimenticare, un uomo le cui molte giornate sono state
segnate da un “oggi” disperato. Ma "oggi", sulla croce, trova la
salvezza. Il tempo della compassione di Gesù è un “oggi” che non ha mai fine.
L’ora della salvezza è l’oggi in cui il Signore ti incontra. La sua parola di
compassione diviene occasione da non perdere, è il kairòs, “il tempo favorevole, il tempo opportuno”. Ma solo chi
prende coscienza del proprio male e del proprio peccato può cogliere
l’occasione e lasciarsi raggiungere dalla sua misericordia.
"Con me":
al ladrone che chiede di entrare nel regno, infine, il Signore offre molto di
più. Non gli dice: sarai accolto in paradiso, ma “con me sarai in paradiso”. Il regno, il paradiso, è lo stare con
lui, è la sua compagnia. E’ questo il premio, è questa la salvezza. Gesù ha
scelto i discepoli “perché stessero con
lui”, e nella sua costante ricerca della volontà del Padre e della comunione
con Lui, ha sempre curato la compagnia dei fratelli. Non stupisce che l’ultima
promessa che gli esce dalla bocca sia quella di una intimità, di un affetto, di
uno stare insieme che si compie nell’oggi dell’eternità.
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