Parrocchia S. Giovanni Bosco  -  Vasto

SCUOLA DELLA PAROLA 2018-19
TREDICESIMO INCONTRO - 24.04.2019

 
 

VIVERE L'INCONTRO CON GESU'

 
"OGGI, CON ME, SARAI NEL PARADISO"

 
 

La Parola di Dio

Dal Vangelo secondo Luca (23,39-43)

 
"Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»".

 

Commento biblico-teologico


Leggere questa pagina del vangelo di Luca ci chiede anzitutto un gesto di coraggio: riconoscere che queste parole possono essere comprese soltanto da chi sa di avere peccato. Queste poche righe che abbiamo letto sono assolutamente scandalose, perché ribaltano qualunque nostro criterio di giustizia retributiva. Ci viene da gridare allo scandalo, da dire che non è giusto. Perché deve essere premiato un uomo che per tutta la vita non ha fatto niente di buono? Solo chi sa di avere peccato, e peccato molto, può accostarsi con fiducia a questa pagina di vangelo, ma meglio sarebbe dire a tutto il vangelo. In una logica diversa da questa, nella logica dei giusti che non hanno nulla da farsi perdonare, tutto il vangelo è sbagliato, è fuori luogo, è fuori posto. Solo se sentiamo in qualche modo il desiderio e la necessità di lasciarci perdonare da Dio, di lasciarci riconciliare con lui, allora questa pagina aprirà per noi i suoi tesori, ci potrà commuovere, trasformare, consolare. Se dentro di noi rimane l’orgoglio di chi si pensa a posto, o magari addirittura in credito con Dio, queste parole suoneranno di offesa e di scandalo.
 
Nel momento decisivo della vita di Gesù si ritrova tra due criminali, “è stato annoverato fra gli empi” (Is 53,12; Lc 22,37). A fargli compagnia sono rimasti solo due ladri: nessuno più di loro è vicino al Signore. Dobbiamo imparare da loro, e provare a guardarli più da vicino. L’immagine dei due ladroni è ormai parte integrante dell’icona cristiana del Crocifisso. Tutti e quattro gli evangelisti ne ricordano la presenza, e la tradizione ha sempre dato un grande rilievo a questo fatto, giungendo perfino ad attribuire un nome a ciascuno dei malfattori. Urtante e spigoloso come suo solito Marco, il più antico vangelo, proponendosi in termini di verosimile resoconto, ci riferisce appunto che i due ladroni, concrocifissi con lui, non si distinguono affatto fra loro, perchè entrambi insultano Gesù, unendosi così al coro sarcastico e blasfemo di passanti, sacerdoti e scribi, che monta dai piedi della croce (Mc 14,24-32). Soltanto Luca, però, parla di un ladrone pentito, o di un buon ladrone, come viene normalmente chiamato nella tradizione cristiana. Anche se buono, a rigor di termine non lo era affatto. Lui stesso dice di sé che sta ricevendo “il giusto per le sue azioni”.
 
Facciamo una interessante osservazione. Sappiamo che Luca spesso mette vicino due personaggi che presentano due poli opposti (cf. Zaccaria e Maria; Marta e Maria, i due fratelli del padre misericordioso, ecc.). E' il metodo letterario dello “sdoppiamento”, che ha lo scopo di mostrare due atteggiamenti contrastanti che una stessa persona può assumere. Detto in altri termini, e riferito in particolare al brano dei due ladroni, è come se questo dialogo avvenisse all’interno del nostro cuore, e non tra due persone distinte. Da che parte sto, a chi e a cosa do' voce di fronte al Cristo crocifisso? Il primo ladrone rappresenta il nostro lato oscuro, quello che cade nella disperazione, che non pensa di ottenere salvezza, e cede al cinismo, alla recriminazione, alla bestemmia: "Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!»". E' l'ultima tentazione rivolta a Gesù. Al contrario, il secondo ladrone, che pure è un malfattore come l’altro, lascia spazio al timore di Dio, al riconoscimento del proprio male, all’ammissione del proprio peccato. E crea il presupposto per sentirsi accolto dalla compassione di Gesù, che per tutta la vita ha perdonato i peccatori. Concentriamoci allora su di lui, sul ladrone pentito. Nelle sue parole c’è già il principio della sapienza; nella sua richiesta a Gesù si apre la strada per la compassione. Pertanto, i due ladroni possono essere ripensati come un’unica figura complessa che consente di costruire un cammino di fede completo, attraverso due diverse reazioni all’incontro con il Cristo crocifisso: prima imprecando nella ribellione, ma infine invocandolo nella conversione. Al lettore viene così offerta la possibilità di un realistico cammino di fede che conduce fino alla sorprendente risposta di Gesù, che dona subito la salvezza. Mettiamoci, dunque, alla scuola del ladrone penitente, alla scuola cioè di un personaggio di prima grandezza e figura chiave del terzo vangelo. Forse la figura più singolare di tutta l’opera lucana, a cui è bastata una sola parola per ottenere la salvezza.
 
"L'altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male»".
 
Il "buon" ladrone non conosceva Gesù prima della crocifissione. Lo ha incontrato in quella drammatica situazione. Tuttavia, egli, davanti al modo in cui Gesù affronta la croce, assume un atteggiamento opposto all'altro compare, la cui richiesta appare come una provocazione sarcastica e blasfema (v. 39). Ai suoi occhi la singolarità messianica di Gesù rispetto alla comune sorte dei malfattori è solo illusoria e simulata. Su di lui il ladrone la pensa proprio come i loro carnefici. Il mistero della regalità del crocifisso, la signoria del dolore innocente, il giusto sofferente, il Messia rifiutato dal proprio popolo, che tuttavia intercede e invoca perdono proprio per i suoi, rivelatisi nemici, per lui è una totale assurdità, sterile per sé e per gli altri come lui. Non a caso, in Isaia, il Servo del Signore fa distogliere lo sguardo, suscita repulsione, ovvero una incapacità di lasciarsi interrogare: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori, che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima (Is 53,2-3). Arriva però un momento in cui lo sguardo al crocifisso si può aprire alla fede, proprio come accade ai contemporanei del Servo del Signore, che prima lo disprezzano, ma poi si ricredono completamente su di lui, trasformando il loro occhio disgustato in uno sguardo di fede: "Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,4-5).
 
Questa trasformazione di sguardo, finalmente capace di percepire la singolare differenza del messia sofferente, è la stessa grazia di cui gode il "buon" ladrone rispetto al suo compare.
 
Riconoscendo l’innocenza di Gesù, che «non ha fatto nulla di male», il buon ladrone dimostra di possedere il senso del timor di Dio, che altro non è che il rispetto delle autentiche differenze, in primo luogo tra uomo e Dio, ma includendo anche il rispetto per il prossimo. L’innocenza di quel giusto, pretendente messianico e comunque ingiustamente sofferente, rientra nella stessa regalità di Gesù, la cui potenza va oltre la morte, perché capace di invocare perdono per i carnefici. Gesù dispone di un regno, cioè di una signoria e libertà che, nel segno del servizio (Lc 22,24-27), cominciano a manifestarsi appieno dallo stesso patibolo, da Gesù trasformato in trono di filiale misericordia: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!» (Lc 23,34).
 
"E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»".
 
Il ladrone si rivolge a Gesù chiamandolo per nome. Non usa nessun altro “titolo” per ottenere la sua misericordia. Gesù e basta: non Signore, o Maestro, o Salvatore. Lo chiama con il nome più familiare, ed è l’unico in tutto il vangelo di Luca a rivolgersi a Gesù chiamandolo solo col suo nome, senza aggiungere altra denominazione. Nel momento della verità, il ladrone trova l’invocazione del nome dell’affetto, dell’amicizia, del nome che rompe le distanze, che si può pronunciare con un filo di voce. Sappiamo che il nome Gesù significa “Dio salva”, e sappiamo che nel nome sta il destino, la vita di una persona. Davanti a Gesù, pronunciandone il nome, il ladro si ricorda che Dio salva, salva tutti, non solo i buoni o i giusti che non ne hanno bisogno, ma i poveri, i perduti, gli smarriti, la gente a cui non è rimasto in mano nulla se non qualche briciola di speranza. La salvezza inizia dall’invocazione fiduciosa e ripetuta del nome di Gesù.
 
"Ricordati di me". Il ricordo di Dio è fondamentale. Se da un lato si chiede di non essere dimenticati da Dio, di non essere lasciato soli, dall’altra lato il ricordo chiede con forza al Signore di essere fedele a se stesso, di non dimenticare la sua promessa di perdono. Il ladrone sa che non può vantare alcun merito davanti a Gesù. Il malfattore è semplicemente sulla croce, povero e nudo come Gesù, morente come lui, condannato alla stessa pena. E questo può bastare. “Ricordati di me” significa dire “ricordati di chi sono, dei miei peccati, del fallimento che è stata la mia vita, degli errori che l’hanno fatta finire male, delle occasioni di bene che ho perduto, della mia fragilità. Tu mi conosci, sai chi sono; proprio per questo ti chiedo di ricordarti di me; e il mio essere così disarmato e così perduto è motivo sufficiente ai tuoi occhi per volermi bene, per darmi come regalo ciò che non mi merito”. Gli resta soltanto un’ultima speranza: che quel condannato come lui, ma così diverso da tutti gli altri, che lui sente di poter chiamare amichevolmente Gesù, si possa ricordare di lui quando entrerà nel suo regno. Sa che il Signore non potrà resistere a una parola così, come non aveva saputo resistere davanti alle folle affamate, al lebbroso urlante, al pianto delle sorelle di Lazzaro, all’insensata richiesta di Pietro sul mare di Galilea. Ci sono parole di fronte a cui Gesù cede di schianto: sono le parole che vanno dirette al cuore della sua ingovernabile compassione.
 
"Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»".
 
Le parole del buon ladrone hanno colto nel segno, hanno potentemente smosso il terreno della compassione di Cristo. Ma ci sono anche le sue parole, Salvatore morente. Anche queste, soprattutto queste, tra le ultime che il Signore pronuncia, rivelano il suo cuore e i suoi desideri. “Amen, in verità”. Sappiamo che questa è una forma stereotipa per dare rilievo a ciò che si sta per dire: quasi un giuramento per rafforzare la parola e darle ulteriore spessore. Ma pronunciata dalla croce, questa parola assume un significato ancora più potente. La verità, la parola certa, l’amen che Gesù pronuncia e che ha pronunciato per tutta la vita è l’amen che dischiude il paradiso, la vita eterna, la condivisione della realtà di Dio. La verità della sua vita è questa: è la compassione, è il dono gratuito del regno a chi non ha fatto nulla per meritarselo, è la parola scandalosa della croce che dice che Gesù muore per i peccatori.
 
Oggi”. Questa parola tiene insieme le tappe più importanti della vita di Gesù, e dice che il tempo della sua azione di salvezza è “oggi”. E’ commovente notare che poche ora prima Gesù aveva rivolto questa stessa parola a un altro peccatore, all’apostolo Pietro: “non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi” (Lc 22,34). Per Pietro l’inizio della salvezza e del discepolato ha coinciso con lo sperimentare il proprio fallimento; possiamo dire la stessa cosa per il ladrone. E se procediamo a ritroso nella lettura del vangelo di Luca, troviamo l’episodio della conversione di Zaccheo, dove sono due gli ‘oggi’ pronunciati da Gesù: “oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19,5) e “oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Lc 19,9). Anche per Zaccheo l’oggi dell’incontro con la compassione del Signore rappresenta l’estrema possibilità di salvezza e l’inizio di una vita nuova. Oggi il buon ladrone si conosce per quello che è: un uomo che ha buttato via la vita, un uomo che si lascia alle spalle una storia che sarebbe meglio dimenticare, un uomo le cui molte giornate sono state segnate da un “oggi” disperato. Ma "oggi", sulla croce, trova la salvezza. Il tempo della compassione di Gesù è un “oggi” che non ha mai fine. L’ora della salvezza è l’oggi in cui il Signore ti incontra. La sua parola di compassione diviene occasione da non perdere, è il kairòs, “il tempo favorevole, il tempo opportuno”. Ma solo chi prende coscienza del proprio male e del proprio peccato può cogliere l’occasione e lasciarsi raggiungere dalla sua misericordia.
 
"Con me": al ladrone che chiede di entrare nel regno, infine, il Signore offre molto di più. Non gli dice: sarai accolto in paradiso, ma “con me sarai in paradiso”. Il regno, il paradiso, è lo stare con lui, è la sua compagnia. E’ questo il premio, è questa la salvezza. Gesù ha scelto i discepoli “perché stessero con lui”, e nella sua costante ricerca della volontà del Padre e della comunione con Lui, ha sempre curato la compagnia dei fratelli. Non stupisce che l’ultima promessa che gli esce dalla bocca sia quella di una intimità, di un affetto, di uno stare insieme che si compie nell’oggi dell’eternità.

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