La tavola degli uomini: Gesù è invitato a tavola
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I vangeli ci
raccontano quindici pasti di Gesù (sono molti in quattro libretti di poche
pagine!), e ogni pasto ha una particolarità, è un incontro non ripetibile ed è un’occasione
di un insegnamento da parte di Gesù. Ovviamente non possiamo leggere e
commentare tutti questi quindici pasti significativi, ma di essi occorre far
emergere innanzitutto alcuni tratti importanti.
Partendo da
una visione più generale, si può affermare che Gesù desiderava mettersi a
tavola e pranzare con le persone con cui entrava in relazione. A tavola
conversava con facilità, stringeva amicizia, accettava le discussioni che qui
potevano sorgere (cf. Lc 22,24).
Stare a tavola per Gesù era un segno, una parabola vissuta del significato
della sua stessa missione: portare la presenza di Dio nel mondo, avvicinare il
regno di Dio ai peccatori, a chi dal Regno si sentiva escluso e lontano. Quando
era invitato a pranzo, Gesù restava sempre vigilante, cercava di vedere e di
non lasciarsi sfuggire qualcosa che potesse esser più urgente della
partecipazione a un banchetto.
Per esempio,
mentre, in giorno di sabato, sta per entrare in casa di uno dei capi dei
farisei per pranzare, nota un uomo malato di idropisia. Allora lo prende per
mano, lo guarisce e lo congeda, anche se deve giustificarsi di fronte agli
uomini religiosi che lo circondano per aver operato una guarigione in giorno di
sabato, dicendo che in quel giorno è lecito curare (cf. Lc 14,1-6). Ma Gesù
osserva anche come gli invitati a pranzo scelgono i primi posti, e consiglia di
mettersi all’ultimo posto (cf. Lc 14,7-8).
Esorta inoltre a invitare a pranzo o a cena quelli che non possono
contraccambiare, per non entrare nel terribile meccanismo dell’invitare per
essere invitati (cf. Lc 14,12).
“Al contrario” – afferma – “quando offri
un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non
hanno da ricambiarti” (Lc 14,13-14).
Anche se magari questi non accetteranno e rifiuteranno il dono: bisogna esporsi
a tale rischio!
Scendendo
più nello specifico, i vangeli sinottici attestano dei pasti presi da Gesù
insieme a gente pubblicamente malfamata, peccatrice, disprezzata, agli scarti
della società. Ci raccontano che un chiamato alla sequela di Gesù, Levi, era un
pubblicano che stava seduto a riscuotere le imposte in una città sul lago di
Tiberiade (cf. Lc 5,27-32
e par.). Gesù, passando, “lo vide … e gli
disse: ‘Seguimi’. Ed egli, lasciando
tutto, si alzò e lo seguì”. Lo sguardo e la parola di Gesù hanno attirato
quest’uomo e così egli si è convertito, affidandosi incondizionatamente a lui.
Gioioso per il nuovo cammino intrapreso, Levi si congeda dai suoi amici (che
certamente non erano religiosi osservanti!) con un grande banchetto e Gesù
partecipa a questo pasto senza remore, scatenando però la reazione dei
difensori delle osservanze dettate dalla Legge. I farisei, questi militanti, e
i loro scribi, sicuri della loro capacità di influenza e della loro autorità, cercano
di destabilizzare i discepoli di Gesù: “Come
mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?”. Ma Gesù risponde:
“Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto
a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione” (l’aggiunta di
quest’ultima specificazione è solo lucana).
Se Gesù è
venuto per invitare alla conversione i peccatori, innanzitutto li va a cercare
dove essi sono, e poi stabilisce con loro una comunione umana attorno alla
tavola: è così che si crea la situazione in cui si possono instaurare
conoscenza reciproca, accoglienza e comunicazione! E siccome questo avveniva
abitualmente, i nemici di Gesù finivano per chiamarlo con disprezzo “un mangione e un beone, un amico di
pubblicani e di peccatori” (Lc 7,34;
Mt 11,19), e spesso
mormoravano dicendo: “Costui accoglie i
peccatori e mangia con loro” (Lc 15,2).
La verità invece andava colta nell’abbondanza dell’amore di Gesù, che sa
accogliere il grazie di Levi rivolto a lui che lo ha ritenuto degno di essere
fatto discepolo; che accetta di stare a tavola gioiosamente per festeggiare
l’evento di un peccatore che ha detto no al suo passato e si è incamminato su
una nuova via; che vuole mostrare la sua capacità di empatia e di amicizia
verso tutti, nessuno escluso.
Molto simile
a questo banchetto è quello nella casa di Zaccheo (cf. Lc 19,1-10). Entrando in
Gerico, Gesù vede un uomo che, essendo piccolo di statura, pur di vederlo si è
arrampicato su una pianta, un sicomoro. Gesù lo guarda in volto e gli dice: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi”,
anzi dimorare (meînai) “a casa tua”.
E Zaccheo scende in fretta e lo accoglie in casa, pieno di gioia. Anche qui una
chiamata, un entrare in casa, un sedere a tavola, contrapposti a una
mormorazione: “È entrato in casa di un
peccatore!”.
Ma non sempre
la tavola alla quale Gesù è invitato diventa luogo di vera accoglienza, di
ascolto di Gesù e dunque di comunione. Egli, infatti, accettava l’invito a
tavola da parte di tutti: da parte di peccatori ma anche da parte di “giusti”
osservanti, i farisei. Era ritenuto un rabbi famoso, e la curiosità spingeva
dei farisei ad accoglierlo nella loro casa: ed egli accetta, come ci testimonia
per due volte il vangelo secondo Luca. La prima volta chi invita Gesù è un
fariseo di nome Simone (cf. Lc 7,36-50).
Gesù entra nella sua casa, ma l’ospite che offre quel pasto si mostra subito
riservato nei suoi confronti: vuole Gesù a tavola, ma senza compiere gesti
d’amore verso di lui. Nei banchetti solenni era usanza che il padrone di casa
salutasse con un bacio l’ospite per cui offriva il banchetto, che i servi gli
lavassero i piedi e che fosse versata sui capelli dell’ospite una goccia di
profumo. Era un rito di accoglienza segnato da attenzione, affetto, volontà di
onorare l’ospite. Ma Simone non fa nulla di tutto questo per Gesù…
Ed ecco,
entra in quella casa una donna innominata, conosciuta da tutti in città come
“una peccatrice”, dunque una prostituta, che compie per Gesù i gesti che egli
avrebbe dovuto ricevere in qualità di ospite. Si avvicina in modo nascosto e,
presa da commozione, bacia i piedi di Gesù, li bagna di lacrime, li asciuga con
i suoi capelli e li cosparge di profumo. Simone resta scandalizzato: non si
domanda per quale motivo egli non ha compiuto i gesti previsti dall’ospitalità,
ma sa guardare solo al peccato della donna e conclude che Gesù non è profeta,
come egli già pensava, dal momento che si lascia avvicinare e toccare da una
donna impura. Per lui Gesù o è un ingenuo oppure è uno a cui queste cose
piacciono, in quanto anche lui peccatore: ma certo non è un profeta! Gesù
allora, resosi conto di questo mormorare tra sé da parte di Simone, gli narra
una parabola per spiegargli che a chi ha molto amato – come questa donna che
gratuitamente e senza essere lei l’ospite ha fatto molto – moltissimo si
perdona. E così dice alla donna: “I tuoi
peccati sono perdonati … La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”. Qui la
tavola è diventata luogo di contraddizione: colui che ha invitato Gesù non è
stato un ospite alla sua altezza, non ha capito nulla, non è entrato in
comunione con lui; colei che invece è entrata nella casa, non invitata e di
soppiatto, ma con fede e amore, ha ottenuto l’amore di Gesù. Sì, la tavola non
è per tutti un luogo di comunione: dipende da come si sta a tavola con gli
altri commensali, se si vuole comunione con loro, se si vuole veramente
celebrare con il pasto, con il banchetto, l’incontro, la fraternità,
l’amicizia.
Sempre Luca
ci parla di un altro pasto a cui Gesù è invitato da un fariseo anonimo – “Un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e
si mise a tavola” (Lc 11,37)
–, pasto che finisce in una veemente polemica (cf. Lc 11,38-54). Guardando la
loro ipocrisia, le loro osservanze di prescrizioni umane, l’ossessione delle
loro supererogazioni per acquisire meriti, Gesù si scatena in una serie di: “Guai a voi, farisei! Guai a voi, dottori
della Legge!” (cf. anche Mt 23,13-329.
Ciò rappresenta una rottura con gli uomini religiosi: Gesù non sarà più
invitato a pranzo da loro e ormai questi suoi nemici complottano per farlo
morire. Resta vero che Gesù non aveva disdegnato i loro meriti: è andato a
tavola anche insieme a loro, ma il risultato è stato un fallimento della sua
missione.
Abbiamo però
anche cenni di uno stare a tavola di Gesù presso amici che lo accolgono con
premura, gli offrono la casa per riposarsi e per riprendere le forze nel suo
cammino verso la Pasqua. Luca ci parla della sosta di Gesù nella casa di due
sorelle, Marta e Maria (cf. Lc 10,38-42).
Sono due amiche di Gesù, insieme al loro fratello Lazzaro, e la loro casa a
Betania è poco distante da Gerusalemme. In quella sosta di Gesù, Maria si fa
con audacia sua discepola, mettendosi ai suoi piedi per ascoltarlo come un
rabbi, mentre Marta prepara tutto per l’accoglienza pratica di Gesù, dunque
anche il pranzo. Se quest’ultima è rimproverata da Gesù non è perché prepari il
pasto, che Gesù gradiva, ma perché preferisce restare una donna serva senza
diventare discepola. Prima – le dice Gesù – è necessario l’ascolto della parola
di Dio, prima è necessario diventare discepola, poi si può predisporre la casa
e il cibo per l’accoglienza.
Anche il
vangelo secondo Giovanni ci parla dell’amicizia tra Marta, Maria e Lazzaro (cf.
Gv 11,1-44) e ci
testimonia che questi amici offrono a Gesù una cena, l’ultima prima della sua
passione. Questi amici sono suoi commensali, ed è così grande l’affetto che li
lega a lui, che Maria unge di profumo preziosissimo i piedi di Gesù, “e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel
profumo” (Gv 12,3).
Straordinario: una cena di amici, l’ultima cena insieme, in cui il profumo che
si spande è segno di quell’affetto che non troverà nessun limite, ma sarà
addirittura più forte della morte. Ed ecco la promessa riservata da Gesù a
questo gesto, secondo i sinottici: “Amen,
io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in
memoria di lei si dirà anche quello che ha fatto” (Mc 14,9; cf. Mt 26,13). Si annuncerà la
morte e la passione del Signore rifacendo i gesti di Gesù sul pane e sul vino “in memoria di lui” (lett. “di me”; eis
tèn emèn anámnesin: Lc 22,19;
1Cor 11,24), ma si
annuncerà anche ciò che questa donna ha fatto per Gesù, “in memoria di lei” (eis mnemósynon autês). Memoria
dell’amore di Gesù, memoria dell’amore degli amici per Gesù!
A breve pubblicherò la terza ed ultima parte di questo studio: Gesù invita gli uomini alla sua tavola.
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