Parrocchia S. Giovanni Bosco  -  Vasto

SCUOLA DELLA PAROLA 2018-19
QUARTO INCONTRO 28.11.2018

 
 

VIVERE L'INCONTRO CON GESU'

 

"TUTTO E' POSSIBILE A DIO"

 

La Parola di Dio

 
Dal Vangelo secondo Marco (10,17-27)

 
17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». 21Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
23Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

  

Commento teologico-esegetico

 
Il vangelo secondo Marco dedica una particolare attenzione al vedere di Gesù, ai suoi modi diversi di guardare, a tal punto che è stato definito “il vangelo degli sguardi”. Non è un caso che solo il vangelo secondo Marco contenga il seguente rimprovero di Gesù ai discepoli: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite?” (Mc 8,18). In questo vangelo per ben 27 volte si attesta il vedere di Gesù, nelle sue varie sfumature: vedere, fissare lo sguardo, guardare attorno, osservare (cf. Mc 1,10.16.19; 2,5; 3,5.34; 5,31-32; 6,34.48; 10,23; 11,11). Il brano dell’incontro tra Gesù e il giovane ricco è particolarmente eloquente sul vedere di Gesù. Percorriamolo accuratamente, facendo seguire a esso anche qualche annotazione sugli sguardi rivolti da Gesù ai discepoli che lo attorniano.

 

“Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,17-22)

Un tale di cui Marco non specifica l’identità, in modo che ognuno di noi possa riconoscersi in lui, corre e si inginocchia davanti a Gesù che è in cammino, per interrogarlo, per porgli domande (cf. Mc 10,17). Appare così una persona che cerca con passione, infatti corre, e cerca qualcuno, un maestro, perché lo aiuti nella sua ricerca – diremmo oggi – di senso: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. È uno che forse ha sentito parlare di Gesù. Per questo si inginocchia davanti a lui e lo chiama: “Maestro buono”, dunque maestro capace di indicare il senso della vita.


Gesù però non gli risponde subito, anzi gli pone una contro-domanda, chiedendogli consapevolezza delle parole da lui dette e rimandandolo a se stesso: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo” (Mc 10,18). C’è una motivazione che spinge costui a definire Gesù “buono”? Solo chi viene da Dio è buono come lo è Dio. Gesù dunque ricorda al suo interlocutore i comandamenti della seconda tavola della Legge, riguardanti il rapporto tra ciascuno di noi e gli altri, di cui cinque negativi e uno positivo (cf. Mc 10,19; cf. Es 20,12-16; Dt 5,16-20). Ecco il terreno su cui interrogarsi per orientarsi verso il bene, per conoscere la strada su cui si cammina, per trovare l’eredità della vita eterna. Nel vangelo secondo Matteo, attraverso la mirabile scena del giudizio finale, si afferma che ognuno sarà giudicato sul suo rapporto con gli altri (cf. Mt 25,31-46). Anche l’Apostolo Paolo ricorderà l'importanza dei comandamenti, in una perfetta corrispondenza con le parole rivolte da Gesù a questo tale (cf. Rm 13,8-10).

 

Quest’uomo che interroga Gesù deve interrogare se stesso, deve comprendere che la bontà che Dio vuole è la bontà verso gli altri, e che il male che Dio non vuole è il male che facciamo agli altri. Di fronte a queste parole di Gesù, quest’uomo pieno di zelo, forse “giovane” – come lo definisce Matteo (Mt 19,20) –, afferma decisamente: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza” (Mc 10,20). Ha osservato i comandamenti ricordati da Gesù e l’ha fatto con zelo, con convinzione, con spirito di obbedienza. Gesù, che conosce il cuore di ogni uomo (cf. Gv 2,24-25), accoglie la dichiarazione del suo interlocutore ed entra in una relazione più profonda con lui.

 

A questo punto Marco – e solo lui – scrive: “Allora Gesù, fissato lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,21). Attraverso il guardare, il fissare lo sguardo, Gesù vuole comunicare in modo più profondo con quel giovane, vuole che egli “si senta visto”, si senta conosciuto nel suo cuore, si senta accolto. Di fatto Gesù mostra al giovane di essere come lui lo ha chiamato, “buono”, capace di amore, di essere come il Signore che “guarda il cuore”, che discerne in profondità, non come l’uomo che guarda l’esteriorità (cf. 1Sam 16,7). Gesù guarda quell’uomo, vede la profondità del suo cuore, vuole che il suo amore incontri l’amore preveniente e gratuito donatogli da Gesù stesso. Nello sguardo di Gesù si manifesta tutto l'amore che egli ha per quest'uomo. Quel giovane si è sentito guardato e amato dal Signore. Per lui il volto di Gesù è diventato il volto di uno che offre un amore, che non va meritato, ma solo accolto con stupore, perchè frutto della grazia divina.

 

Siamo arrivati al punto più profondo dell’incontro tra Gesù e il giovane. E così ora Gesù può dirgli la verità più profonda: “Una cosa sola ti manca” (Mc 10,21). Se tu avessi tutto, allora il Signore sarebbe il tuo Pastore: “Il Signore è il mio Pastore, non manco di nulla” (Sal 23,1); ma ti manca una cosa sola. Gesù gli dice: “Ti manca una cosa, lasciare tutto e seguire me” (cf. Mc 10,21). Ecco dove Gesù ha portato il giovane con il suo sguardo e il suo amore: a riconoscere che gli manca qualcosa, una sola, ma che dunque non può essere soddisfatto di se stesso.

 

Egli deve ormai rispondere a quello sguardo, deve sentire che lo sguardo e l’amore di Gesù lo spingono a cambiare vita, a prendere un nuovo orientamento, a mutare i rapporti che ha con gli altri e con le cose, per poter seguire Gesù e aderire a lui. Seguire Gesù senza riserve, senza avere garanzie o vie di fuga, comporterà per tutti una decisione da cui non si può tornare indietro: se si hanno beni, si vendono e si danno ai poveri; se si ha una famiglia, la si abbandona; se si ha una professione, la si lascia; allora si può seguire Gesù senza nostalgie e senza indecisioni per scelte ancora da fare.

 

Ma a queste parole egli si fa triste e si tira indietro (cf. Mc 10,22). Non crede a quello sguardo, non crede a quell’amore di Gesù, e quindi non sa rispondere a Gesù. Nella sua ricerca di senso questo giovane pieno di zelo e di ardente desiderio è giunto alla possibilità di scegliere: non scegliere cosa fare, ma scegliere di essere e scegliere come trovare pienezza nella propria indigenza. Ma di fronte a quell’offerta di Gesù, offerta di rischiare l’amore, si incupisce, e con la tristezza che lo domina se ne va di nuovo per la sua strada, lontano da Gesù, il maestro buono. “Aveva molte ricchezze” (Mc 10,22), troppe per essere libero di seguire Gesù. Tra il mettere la fede-fiducia in Gesù, rischiando la vita, e l’avere fiducia nelle ricchezze che possiede (o che forse lo possiedono!), preferisce questa seconda situazione, a cui è abituato. Ora comprendiamo che questo giovane osservava formalmente la Legge, ma non ne comprendeva né lo spirito né il fine. Sì, quello sguardo di Gesù ha raggiunto il giovane ricco, ma non è riuscito a liberarlo dalla prigione dell’avere per collocarlo nella libertà dell’essere.

 

“Gesù, volgendo lo sguardo attorno” (Mc 10,23-27)

Allora “Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: ‘Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!’” (Mc 10,23). Ecco un altro modo di guardare da parte di Gesù: volge lo sguardo attorno. Guarda tutti i discepoli e le folle che lo ascoltano per dire loro una parola dura. Con lo sguardo percorre in modo circolare l’uditorio, come per rivolgersi a ciascuno dei presenti, e mette in guardia denunciando una difficoltà radicale della quale Gesù stesso sembra stupirsi: come sarà difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. Ciò che è appena avvenuto, e si è concluso con l’andata via del giovane ricco, ne è una conferma.


Davvero la ricchezza è qualcosa in cui l'uomo poggia la sua fede; è l'idolo per eccellenza e rende l’uomo idolatra (“l’avarizia è idolatria”: Col 3,5). Per questo Gesù ha chiamato la ricchezza “mammona” (Mt 6,24, Lc 16,13), utilizzando la parola aramaica mamon che ha nella sua radice proprio il verbo della fede, aman, dell’“aderire con fiducia”: perché sapeva che l’uomo fa affidamento su di essa più facilmente che su tutto il resto, più che sui vincoli di sangue, di vicinanza. L'uomo idolatra tende ad affidare alla ricchezza la propria salvezza. Ecco l’inganno: salvarsi confidando nelle ricchezze, e non attendere più la salvezza da Dio!

 

I discepoli sono sconcertati da queste parole di Gesù, rafforzate da un'immagine paradossale, quella del cammello che non può assolutamente passare per la cruna di un ago (cf. Mc 10,25). Lo sbigottimento dei discepoli si fa ancora più grande, ed essi gli chiedono: “Ma allora chi può essere salvato?” (Mc 10,26). Gesù legge sul volto dei discepoli il loro sgomento: se è così, allora per gli uomini c’è possibilità di vita eterna?

 

Segue allora il terzo sguardo di Gesù, espresso con lo stesso verbo usato per il giovane ricco (Mc 10,27). Questa volta, però, fissa lo sguardo sui suoi discepoli. Ed ecco la sua parola: “Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio”. Gli uomini non possono dare la salvezza, anche se la cercano. L’uomo resta sempre inadeguato a raggiungere da se stesso la pienezza e la beatitudine; resta un mendicante che ha bisogno di essere guardato e amato, ma guardato nel cuore, non come vedono gli uomini, e amato per sempre, senza meritare l’amore. Solo Dio è capace di questo, solo il Signore. Riecheggiano allora le parole di uno dei tre messaggeri alle querce di Mamre, di fronte all’incredulità di Sara nella promessa di un figlio: “C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?” (Gen 18,14). Per il discepolo occorre seguire Gesù che prega dicendo: “Abba! Padre! Tutto è possibile a te” (Mc 14,36), occorre credere che tutto è possibile a Dio!

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